Stamattina stavo pensando ai cosidetti Nuovi media -in realtà potremmo chiamarli Media interattivi o media paertecipativi dato che ormai dopo + di 10 anni di internet fa un po’ sorridere chiamarli così- e a come il messaggio ed i media siano auto-influenzanti. The Medium is the message, il mezzo è il messaggio postulava McLuhan molti anni fa, e in tutti questi anni abbiamo capito come a ciascun messaggio corrisponda un linguaggio, uno stile di comunicazione, un approccio comunicativo differente. Col tempo ci siamo cosi trovati ad affrontare il passaggio dalla carta al web e poi dal web mobile, fino alla recente ennesima trasformazione (o accrescimento) verso la IP-Tv.. da una parte quindi l’anelito verso la convergenza (Stessi contenuti ma fruibili da media differenti, Internet, Mobile e Wap, l’idea del MAP (Multiple Access Portal), la centralità dei contenuti fruibili senza soluzione di continuità da Internet, mobile mediante riconoscimento vocale e WAP (ve la ricordate? Nonostante vi siano ancora in commercio molti servizi WAP era una tecnologia davvero povera e poco funzionale..) che era la visione di Omnitel 2000, azienda per cui ho lavorato proprio agli inizi del nuovo millennio) e d’altra parte la consapevolezza della specializzazione, della necessità di adattare i contenuti alle peculiaità del media utilizzato.
Ma allora è il messaggio, che fa il media o il media che fa il messaggio? A render le cose più complicate subentra un altro aspetto: i Media tradizionali sono contenitori rigidi, con vincoli spaziali evidenti (la pagina di un giornale ha un formato fisso, non variabile in base alla effettiva esigenza o domanda di informazioni da parte dei propri lettori – da qui gli sforzi di riempire con notizie inesistenti o inutili in periodi morti come alcuni giorni d’estate – idem per quanto riguarda un notiziario TV o radiofonico con il suo palinsesto e formato standard. L’obbligo di seguire regole, palinsesti, formati impedisce lo sgorgare fluido della comunicazione, anche se molto spesso è una comunicazione quasi sempre ad una via (è vero, anche la TV – Mediaset e RAI e anche la7 – stanno aprendosi alla partecipazione delle persone – invitando gli spettatori ad inviare immagini, video, notizie).
Internet in generale supera il vincolo spaziale di una pagina del giornale (le pagine web possono essere lunghe a piacere, magari contenere centinaia di commenti ad un post) o quello legato ad una palinsesto ed orari tipici di shedulazione lineare (online siti come Yalp o Current TV offrono servizi VOD – Video on Demand-, e la possibilità di personalizzare la propria esperienza di fruizione, mediante la creazione di una propria playlist o un proprio palinsesto). Online inoltre il Design diventa liquido, i contenuti si adattano alla pagina per ottimizzare la fruizione personale di ciascun utente in base al tipo di browser, risoluzione, dimensione schermo etc. e nei siti partecipativi i contenuti diventano a più voci, il messaggio diventa cioè conversazione ed il pensiero diventa liquido.
Lo spunto sul pensiero liquido l’ho trattato da una mia recente lettura: “Now is gone” di Geoff Livingston con la collaborazione di Brian Solis, Ceo di FutureWork.
“Pensare liquido” per gli autori significa che i marketer devono saper adattare i loro pensieri ed approcci al mercato ed verso i loro clienti sulla base della continua evoluzione e trasformazione dei media sociali in modo da servire al meglio e nel tempo le loro comunità d’interesse.
E voi e le vostre aziende pensate in maniera liquida? Adattate di volta in volta i vostri pensieri in maniera fluida?
Mi scuso per aver addensato in uno stesso post cos’ tanti argomenti e concetti. Ho seguito il mio flusso di pensiero, forse ho pensato liquido:-).
pichiboochi dice
nice blog!! kip up the good work. 😉