Sto leggendo un report di alcune pagine offertoni da Useful Social media sul tema della gestione dei commenti negativi; nel report si fa riferimento al fatto che ancora molte aziende non sanno come comportarsi quando si trovano ad affrontare una comunicazione di crisi; l’esempio citato è quello relativo ad un’azienda di sughi, di ispirazione italiana, ma non credo assolutamente che siano italiani, di nome Ragu che qualche mese fa ha fatto molto arrabbiare un famoso blogger e autore C.C. Chapman che alla campagna di Ragu ha dedicato un paio di post davvero acidi (è ilc aso di dire); Il fatto: Ragu crea una campagna basata sull’assunto che i padri non sanno cucinare, tanto meno preparare i sughi, e Ragu con i propri vasetti già pronti può dare loro una grossa mano.. Chapman ha ricevuto via twitter, come tanti altri padri, un tweet con un link al video che esplicitava il concetto; ebbene Chapman da buon padre casalingo, cuoco tuttofare si è sentito offeso dalla campagna ed ha replicato con un post dal titolo ” Ragu hates dads” che ha raccolto molto consenso ed ha alzato un polverone. Il social media team di Ragu, inclusa l’agenzia che aveva ideato la campagna, è stato a guardare, senza intervenire, assente ingiustificato.
Come gestire dunque i commenti negativi? Alcune reazioni tipiche sono queste 2, diametralmente opposte:
1. accendere e ingaggiare il dibattito con rudezza, ribattendo colpo per colpo e respingendo accuse e obiezioni
2. ignorare la comunicazione di crisi, far finta di niente (Non ti guardar di lor ma guarda e passa.. non c’è niente di peggio che l’indifferenza,.. in questo caso vale il motto: chi è assente ha sempre torto)
In mezzo a questi 2 comportamenti diciamo estremi ci sono tutta una serie di situazioni e sfumature che andrebbero esaminate, a partire dalla classificazione della tipologia del commento negativo; ogni volta che ci troviamo di fronte a un commento, proviamo a rispondere a queste domande:
– è una critica soggettiva od oggettiva? è costruttiva o distruttiva?
– Si basa su un’opinione( il giudizio su una campagna per es,) , un’esperienza personale (es. la lamentela di un servizio non soddisfacente) oppure su un fatto concreto (es. un difetto di fabbricazione di un prodotto, magari riscontrato e ammesso dall’azienda stessa)?
Le domande a cui un’azienda dovrebbe rispondere per la gestione di un commento negatuivo:
- Chi dovrebbe rispondere (chi è titolato a farlo)?
- Come (con quale tono di voce, in forma pubblica o privata, seguendo un workflow determinato oppure no)? Il tema di come gestire l’escalation, il passaggio da una comunicazione pubblica ad una privata (via email, o telefono, oppure offline è un punto cruciale che implica l’utilizzo di sistemi di social media management)
- Dove (su quali canali, owned, paid, earned)?
- Quando (entro quando, dipende molto dal modo in cui l’azienda è in ascolto, dall’efficacia dei sistemi di monitoraggio da una parte e dalla prontezza e disponibilità di risorse interne a intervenire nella discussione)
- Il perché lo cito solo per scrupolo perché non si può non rispondere (ovvero una mancata risposta comunica molto di più che qualsiasi risposta anche non accurata)
Come impostare queste decisioni, istruire le persone a gestire queste conversazioni sia in termini di tono, contenuti ma anche in termini di flussi e strumenti? Tutte queste domande dovrebbero trovare una risposta in una social media policy aziendale.
Secondo un recente studio di Econsultancy, silo il 34% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver creato una propria social media policy.
Non dimentichiamoci che un post o un commento negativo su un prodotto può trasformarsi in un ottimo consiglio per migliorare un prodotto..
Ecco un esempio di social media policy, esplicitata nella pagina Facebook di Dove:
Sempre secondo il report di Econsultancy, il 52% delle aziende utilizza la propria pagina aziendale su Facebook per rispondere alle critiche e ai reclami (rispetto al 29% dell’anno precedente).
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